Dieci cose che preferivo non sapere sulle birre analcoliche
(E le mie tre birre preferite, per ora)
Ci sono giorni in cui apro una birra analcolica e mi sento meglio (devo dire che ormai ne bevo almeno tre o quattro a settimana, in effetti).
Non nel senso banale del benessere, non tipo "wow che bevanda salutare, bravo me, adesso finalmente potrò diventare bello e intelligente (ma più di così?!?)".
No. Mi sento meglio perché è buona. Perché ha un gusto vero, interessante, piacevole, un corpo degno di essere abbinato a un piatto, una sua storia.
Perché mi dice che posso staccare, rilassarmi, sentirmi parte di qualcosa anche senza alcol.
E no, non è poco. È tanto. È una rivoluzione. Sussurrata, ma reale.
Ma poi vado al supermercato. GDO. Scaffali interi. Lattine perfette. Bottiglie e multipack. Tutte uguali. (Quasi) tutte delle stesse multinazionali. Heineken su tutte. Mi chiedo: sarà la stessa brodaglia messa in bottiglie di marchi diversi? Chissà.
Sugli scaffali lo stesso giallo pallido della prudenza. Lo stesso verde della camomilla in bottiglia. Tutto anonimo, tutto inoffensivo. Tutto messo lì perché sai, com’è, i punti della patente, Salvini, i listing, e blablabla.
Tristezza. E mi arrabbio. Perché le birre analcoliche sono (spesso) un ottimo prodotto. Una grande opportunità. Ma stanno già diventando un parcheggio per idee poco coraggiose.
E io, che invece il coraggio lo pretendo da ogni sorso, comincio a chiedermi: cosa stiamo davvero bevendo?
Le birre analcoliche sono ovunque, ma non sono ancora arrivate. Ma soprattutto, dove vanno?
Crescono. Crescono tantissimo. +18% dice Nielsen.
Poi, fai una qualsiasi ricerca su Google, in italiano o in inglese. Troverai millemila numeri diversi. Ma tutti in crescita a doppia cifra.
E io ci credo. Le bevo. Le consiglio. Le sponsorizzo agli amici. Ma quello che manca non sono i numeri, è la vibrazione. Quella scossa che ti fa dire: “ehi, questa roba è nuova”. Per ora, invece, si naviga nel sicuro. Lager neutre, IPA diluite, blanche troppo pulite. Serve un salto. Serve più fermento.
Eppure è più facile far apprezzare una birra analcolica che un vino.
Gli amidi danno corpo. Danno fiducia. Danno struttura. Ti tengono per mano anche se non hai l’alcol a proteggerti (cit.). Il vino, invece, gli togli l’alcol e restano solo gli incubi. Per questo la birra ha una chance vera: può farti compagnia senza intossicarti. Può essere buona, fin da subito, e per tutti. E non sembrare una versione triste della sua ombra alcolica.

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La nuova scena artigianale esiste. C’è, è viva. Ma timida.
Birra Salento con L’Olmaia, Freedl, Birrone, Edit, la new entry Skossa. Anche Baladin (le sue sono le peggiori secondo me, sorry Teo). Ci provano. Hanno idee. Hanno mani. Hanno un’identità. Ma non sempre hanno le spalle larghe per urlarla e magari neppure la voglia per insistere. Fanno il compitino. Eppure, bisogna dirlo, sono loro a portare il punk nel mondo no/lo. Non fanno ovviamente tanto marketing come Heineken, Abinbev e allegra compagnia, ma fanno birra. E in un mondo così pieno di storytelling, questa è già una forma di resistenza.
Il prezzo delle artigianali è un ostacolo ma anche una scusa.
Lo so, costa. Quella artigianale buona, quella vera. E così restiamo lì, come sempre, a barcollare tra la Blanche da 5 euro a lattina di Mikkeler e quella del Lidl (o Aldi) a 0,79 per 500ml, o anche meno, non ricordo.
Io stesso non posso permettermi il sacro nettare danese e quindi pasteggio con la mitica Karlskrone. È una tensione continua. Una lotta tra il voler bene al tuo palato e voler bene al tuo portafogli. Ma la qualità, se fatta bene, arriva anche al popolo. Basta volerlo. Basta raccontarla.
Come si fa una birra analcolica oggi?
Ci sono due strade. Quella industriale e quella artigianale. La prima è fatta di dealcolazione con osmosi, filtri, evaporatori. Un po’ come nel vino, cioè, si toglie l’alcol con macchine industriali che separano le molecole come in un laboratorio da Breaking Bad.
(Ok, l’ho un po’ romanzata).
La birra c’è, l’alcol pure, ma poi se ne va. E con lui, a volte, anche un po’ di anima. La seconda è più poetica: mash a basso grado Plato, lieviti pigri, fermentazioni controllate. È come fare un romanzo con la penna stilografica: lento, ma unico. I ragazzi del Birrone me l’hanno detto: serve cura, serve scienza, serve testa. E fegato. Sobrio.
E poi c’è la fragilità.
Una birra senza alcol è una birra nuda. Senza quella protezione dell’etanolo, è più delicata, più esposta. Basta un colpo di calore, una logistica sbagliata, e crolla. Come noi durante il lockdown, quando bastava un video-meme per una risata isterica.
D’altronde, l’alcol protegge.
Poi penso al passato. La birra analcolica mica è una novità.
Chi se la ricorda la Tourtel? La Buckler? Anni Novanta. Una birra che sembrava fatta per chi aveva perso una scommessa. Una birra per essere presi in giro dagli amici (come se oggi fosse diverso).
Io la vendevo quando a inizio anni 2000 lavoravo alla Camst, insieme alla Drive Beer (esiste ancora, non credo. Ma quanto era cringe lo spot? vedi sopra), sponsorizzata nientemeno che da Fisichella. Era una a bassa gradazione, se non sbaglio.
Tanto gusto, alcol giusto.
Target: camionisti sobri. Fallimentare. Ma almeno c’era l’idea. Il seme. La crepa. Ed è da lì che arriva tutto. Dai tentativi goffi. Dai sogni sbilenchi.
Oggi siamo lontani da quella tristezza? Oggi c’è fermento? Tu che dici?
Qualcosa sta cambiando, sta arrivando.
Poi, ovvio, l’aura da sfigati non ce la siamo mica ancora tolta.
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Ecco le mie tre birre analcoliche prefe (per ora).
Mikkeller - Drink'in the Sun: è solare come dice il nome, una Wheat Ale fresca, dissetante, che non ha niente da invidiare a sorelle maggiori. Ha dentro il nord Europa, i pomeriggi lunghi, il sole fino a tardi, il gusto delle cose fatte bene senza strafare. Il mare ovunque ti trovi.
Paulaner - Weissbier 0.0: un classico che non delude. Anche questa, come Mikkeller, birra di frumento (è secondo me più facile avere un bel corpo nella versione analcolica).
Come molte Weissbier, banane, chiodi di garofano, schiuma e soddisfazione. Una delle poche che puoi proporre anche a chi “ma io bevo solo quella vera”. Bevila con pretzel e nostalgia di un trekking sull’Alta Via delle Dolomiti.
Theakston - Nowt Peculier: è inglese, è scura, è confortante. L’ho assaggiata al Beer&Food Attraction lo scorso febbraio a Rimini. Non l’ho più trovata ma vorrei tanto :)
E’ un pub in lattina, di quello coi banconi appiccosi. Malti tostati, equilibrio, eleganza sobria. Se ami l’autunno anche d’estate, questa è la tua birra. Mi ha sorpreso.
E quindi?
E quindi arriverà. Ne sono certo. Arriverà la birra analcolica che ci farà dire: “cavolo sì”. Quella che berremo per piacere, non per rinuncia. Quella che ci farà venire voglia di brindare alla sobrietà come scelta, non come punizione. Quella che farà pace tra il discount e l’hipster bar.
Quella che, magari, userà davvero il potere della fermentazione e dei luppoli per raccontare una nuova bella storia.
🍻DIGESTIVO
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Se ti va, condividi questa newsletter con chi dice “le birre analcoliche sanno tutte di acqua sporca di Calcutta, ma frizzante” ma soprattutto rispondimi con le tue birre analcoliche preferite, se ci sono :)
Ma poi, saranno state davvero dieci le “dieci cose” del titolo?
🤯🍇😒ALTRE COSE
L’aperitivo-festa di presentazione di Orlo all’hotel The Venice Times di Venezia previsto per il prossimo giovedì (17 aprile) è stato spostato più avanti, per maltempo (era all’aperto :) Riaggiorniamoci!
E’ uscita una lunga e bella intervista su Orlo, a cura della giornalista Serena Leo, sulla rivista per addetti ai lavori “Vigne, Vini & Qualità” di Edagricole. Sotto la prima pagina.
Chiudo con questa pubblicità, vintage e bellissima, secondo me (più è fredda, più è buona)
Buona Pasqua!
Ciao Riccardo, ti leggo da un po' e lancio una provocazione (o meglio, sto cercando una risposta): come mai tutto questo hype per vino e birra analcolici? Da persona che beve molto poco (quasi zero, ultimamente), non capisco da dove nasca quest'esigenza di avere l'alcolico... analcolico! Non è meglio allora un Crodino o una Coca Zero? Immagino che mi sfugga qualcosa, visto che stiamo parlando di un trend mondiale in crescita :)
Da super fan della Forst zero (adoro), mi segno le tue raccomandazioni per l’estate che viene.
E…LUPPOLIAMERICANI